L'impero di Kublai
Pedro Cano ha scelto di compiere un’impresa che sapeva improba, quella di aiutare il giovane Marco Polo a raccontare, al vecchio Kublai Kan, rappresentandole con immaginifici disegni, le città sconosciuto del suo impero al tramonto.
Ma, forse, nessuno poteva avvicinarsi a questa impresa se non un artista come Cano perché, ovviamente, non si trattava di raffigurare, tradurre il racconto di Marco (o Calvino) in immagini, bensì di scoprire il contenuto profondo di quel dialogo che, a mio avviso, è la dialettica fra leggerezza e gravità, fra racconto e norma, fra immaginazione e regola.
È un tema che emerge fin dalle prime battute del dialogo e, significativamente, lo conclude: l’impero di Kublai “…è ricoperto di città che pesano sulla terra e sugli uomini, stipato di ricchezze e d’ingorghi, stracarico d’ornamenti e d’incombenze, complicato di meccanismi e gerarchie, gonfio, teso, greve. È il suo stesso peso che sta schiacciando l’impero, pensa Kublai, e nei suoi sogni ora appiaiono città leggere come aquiloni, città traforate come pizzi, città trasparenti come zanzariere, città nervatura di foglia, città linea della mano, città filigrana da vedere attraverso il loro opaco e fittizio spessore”.
Marco Polo alterna racconti di città lievi, doppie, multiformi narrazioni di città pesanti, ordite secondo regole ferree e mortali, oppresse dalla loro espansione, dal costruito, dai rifiuti che i loro abitanti producono in enorme quantità ma che si rifiutano di riconoscere. Ma ciò che rende sopportabile questo continuo contrasto è la narrazione, il racconto stesso che è l’unica forma di conoscenza ancora possibile, anche di un mondo al tramonto. Il racconto è la salvezza, l’ultimo brandello di verità di un impero che sta crollando sotto il suo stesso peso. È la leggerezza l’ancora di salvezza del racconto che, di per sé, esclude la fissità della regola, della norma ed è quindi, incompiutezza, pluralità, frammento.
Il giovane Marco è un sognatore e per questo può raccontare le città:
È delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra.
Le città di Marco Polo come i sogni, contrari ad ogni regola e logica, segnate dal valore della leggerezza. Ma Calvino ci spiega altrove che il valore della leggerezza attiene ad uno dei due poli di cui è costituita la storia della letteratura:
Possiamo dire che due vocazioni opposte si contendono il campo della letteratura attraverso i secoli: l’una tende a fare del linguaggio un elemento senza peso, che aleggia sopra le cose come una nube, o meglio un pulviscolo sottile, o meglio ancora come un campo d’impulsi magnetici; l’altra tende a comunicare al linguaggio il peso, lo spessore, la concretezza delle cose, dei corpi, delle sensazioni.
da Lezioni Americane, 1988.
Così, in verità, il dialogo fra Marco e Kublai è la metafora dell’eterna dialettica fra libertà del romanzo, del racconto e la costrizione – straordinaria e comunque ineludibile – della forma, dell’architettura nella letteratura. Ma occorre aver presente che la leggerezza in Calvino “si associa con la precisione e la determinazione, non vaghezza e l’abbandono al caso” e che l’opzione per il valore della leggerezza non esclude il valore contrario e quindi ammette il rispetto per il peso. Un breve scambio di battute fra i due chiarisce la relazione fra peso e leggerezza parlando del ponte:
Kublai: «…qual è la pietrache sostiene il ponte?» Marco: «Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra, ma dalla linea dell’arco che esse formano.» Kublai: «Perché mi parli delle pietre? È solo dell’arco che m’importa.» Marco: «Senza pietre non c’è arco».
Pedro Cano è riuscito a rappresentare arco e pietra, leggerezza e gravità, sogno e morte, memoria e segni, cogliendo di Calvino – in questo ventennale della scomparsa in cui, forse, troppo ci si occupa della biografia come collaboratore editoriale e troppo poco come scrittore e innovatore del romanzo – uno dei tratti più profondi ed essenziali.
Testo di Simone Siliani